debito

Il debito non è un peccato

Il debito non è un peccato. Se ci riflettiamo, in effetti, il debito è semplicemente l’altra faccia di una medaglia: quella della circolazione di denaro. Già, perché ogni volta che nasce un debito, pubblico o privato che sia, il debitore riceve nuova finanza che vuol dire soldi da spendere

Quindi: da un lato c’è un debito da ripagare dall’altro denaro da utilizzare. Se quella finanza viene utilizzata per creare o rilanciare la capacità e la forza di produrre vuol dire che si stanno creando le basi per ripagare il debito serenamente e senza sacrifici immani.

Questo principio vale tanto per i soggetti privati (ad esempio un finanziamento bancario ad un’impresa che vuole realizzare un investimento) tanto per lo stato (ad esempio i prestiti dell’Europa all’Italia che dovrebbero consentire il rilancio dell’economia). Il debito è addirittura considerato una “necessità economica”, come lo ha definito il premio nobel per l’economia William Vickrey. Come fosse la medicina che fa guarire. Basta guardare, ad esempio, al secondo dopoguerra italiano quando l’Italia da nazione semirurale è diventata una potenza industriale a livello mondiale.

Cosa c’è di male allora se perfino la storia conferma il principio? Fin qui nulla. Ma se quei soldi venissero utilizzati non come farmaco per curare ma come palliativo per rimediare, temporaneamente, ai sintomi allora ci sarebbe il vero problema: non si cresce, non si ripaga il debito, si crea il default. La medicina, in sostanza, diventa il suo preciso opposto: un veleno.

Proprio qui risiede la distinzione fra “debito buono” e “debito cattivo” per dirla con le parole del nostro Presidente del consiglio dei Ministri Mario Draghi. Pur valendo il principio, scegliere di contrarre debito pubblico e gestirlo, come debito e come nuova finanza, è cosa ben complessa e diversa da un finanziamento bancario privato!

All’analisi, ad esempio, ogni figlio di questa generazione nasce con un debito “sulla testa” pari a circa 50.000,00 euro. E nessun padre può decidere di pagare e “chiudere il conto”. Quindi, il bambino nato oggi, come tutti gli italiani, dovrà comunque convivere con la sua quota di debito e cercare di riscattarlo producendo per sé e partecipando al rilancio di tutta la nazione.

Il compito di gestire la somma dei 50.000,00 euro a nostro carico oggi è affidato a Mario Draghi il quale, non ultimo durante la crisi del 2012, al governo Mario Monti, è stato uno straordinario “domatore” di mercati che proprio tramite il debito pubblico e l’applicazione di politiche finanziarie europee interventiste ha salvato l’Italia e diversi altri stati europei dal default. In questo momento Draghi deve operare dall’interno. Oggi non è il Governatore della BCE quindi non ricopre il ruolo che gli ha consentito di attuare direttamente e concretamente le necessarie politiche finanziarie. La sua posizione è cambiata, quindi, ma la BCE è rimasta la stessa e, in ogni caso, l’Europa mantiene lo stesso potere all’interno degli stati e infatti prima di poter attuare e mettere in campo qualsiasi genere di intervento, giusto o sbagliato che sia, i governi devono chiedere e aspettare l’avallo dell’Europa. Questo vuol dire che il margine di manovra oggi per Draghi è lo stesso che hanno avuto i suoi predecessori, a partire da Giuseppe Conte, il quale ha portato a casa 209 miliardi. Allora, potrà essere lo stesso Mario Draghi nel ruolo di Presidente del Consiglio dei Ministri a salvare l’Italia come ha fatto nel ruolo di Governatore della Banca centrale europea? Il tempo saprà dircelo ma non è così scontato. Marina Giangiuliani.