Cura Italia: sono stati presi dei soldi e sono stati regalati ai cittadini per “fare la spesa”. Niente è stato risolto e niente può considerarsi anche solo lontanamente definitivo. Ma fissare ora fondamenta salde e solide non si può e chiederlo o aspettarselo è improponibile e improduttivo.
A gennaio 2020 milioni di imprese erano al tracollo. L’Agenzia delle Entrate era una Spada di Damocle che incombeva, in un modo o nell’altro, su tutti i cittadini italiani, quasi indistintamente. Le imprese erano sostanzialmente un bancomat per lo stato. L’Agenzia delle Entrate Riscossione non poteva riscuotere perché molti di quelli che non avevano pagato non avevano, in realtà, i soldi per pagare. Il valore dell’economia sommersa poteva quasi addirittura superare il valore di un’economia che era mantenuta da quei pochi che potevano permettersi di pagare le tasse. Dall’altro lato, certo, bisogna riconoscere che i fenomeni dell’evasione fiscale e della dispersione di capitali nei paradisi fiscali era la “forma di difesa” maggiormente praticata da chiunque potesse.
In un batter d’occhio, il coronavirus ha mandato in tilt il sistema nella sua interezza e ha stravolto del tutto e per sempre la vita delle persone. In pochi giorni si è dovuto far fronte ad un quasi collasso del sistema sanitario per combattere contro una malattia sconosciuta ed “imprendibile” che per una parte è estranea agli ambienti ospedalieri, e per questo ancor più destabilizzante. Le persone sono state costrette all’immobilità della propria abitazione. Le preoccupazioni di chi, seppure con difficoltà, poteva reagire si sono aggiunte a quelle di chi, invece, è stato immediatamente vittima del proprio stato di precarietà.
Il Governo, un po’ bene e un po’ male, ha “messo qualche pezza” qua e là per rimediare ad una vera e propria catastrofe. In un tempo, tutto sommato breve considerando la macchina burocratica italiana e le contingenze, è stato approvato un decreto legge, il Cura Italia, che ha dato un po’ di respiro. Forse non a tutti e sicuramente non abbastanza ma è stato un primo intervento destinato, analizzate l’impostazione, le connotazioni, ed il nome stesso, a consentire a tutti di “fare la spesa” tramite l’immissione di risorse economiche dirette e immediate.
Sono stati istituiti e rivisti gli ammortizzatori sociali per permettere ai lavoratori di far fronte alle nuove esigenze e, contestualmente, alle imprese di sgravarsi del costo di dipendenti di fatto improduttivi.
Alle “partite IVA” sono state versate somme direttamente sui conti correnti. Su questo punto c’è da notare che fra le “partite IVA” sono stati inclusi diversi soggetti economici finanche i soci iscritti all’INPS delle società di persone e questo vuol dire soldi agli imprenditori. Non all’impresa ma all’imprenditore. Quello che di fatto deve “fare la spesa”. Per qualcuno 600,00 euro valgono meno di un caffè a casa. Non è stata fatta nessuna distinzione: si è guardato esclusivamente al fatto che chi non poteva lavorare doveva essere aiutato.
Un intervento economico destinato alle imprese c’è stato: l’iniezione di liquidità concessa con impieghi sì statali (una garanzia a copertura dall’80 al 100%) ma veicolati dalle banche e sottoforma di prestiti.
Le scadenze sono state prorogate, pur prevedendo, per le imprese, la possibilità di versare quanto dovuto e vedersi riconosciuto un titolo di merito sul sito del MEF.
Per tutte le misure sono stati stabiliti termini temporali. Niente è stato esteso o istituito con una prospettiva di medio lungo termine.
Chi è sopravvissuto, letteralmente, dovrà andare avanti. Non è che esista un’alternativa.
Altrettanto certo è che fissare ora fondamenta salde e solide non si può e chiederlo o aspettarselo sarebbe improponibile.