I tartufi possono essere selvatici o coltivati. Si dividono in Bianco e Nero.
di Paola Caracciolo
Forse non tutti sanno che il tartufo è un fungo. Come spiegano le pubblicazioni di settore, il tartufo, in particolare, è il frutto di un fungo ipogeo (che vive sottoterra), appartenente alla classe degli Ascomiceti. In natura nasce e cresce in simbiosi con determinate piante di superficie. L’insieme dell’apice radicale, cioè della radice, della cosiddetta pianta simbionte che viene avvolta dal micelio (l’apparato vegetativo del fungo), prende il nome di micorriza.
Nella Grecia Antica, il tartufo era considerato il “frutto della fusione tra fulmine, acqua e terra”.
I tartufi possono essere selvatici o coltivati. Dal punto di vista organolettico, a livello di qualità, non esistono differenze tra il tartufo di bosco selvatico e quello coltivato. Ciò accade perché per il tartufo non si impianta una vera e propria coltivazione, come invece accade per gli altri prodotti della terra, tipo frutta e ortaggi. Nella tartuficoltura si ricreano semplicemente le condizioni ambientali che ne determinano lo sviluppo in natura. Non vengono utilizzati prodotti clone ed è sconsigliato l’impiego di antiparassitari, pesticidi, il diserbo chimico delle erbe infestanti, concimi e fertilizzanti. In sintesi, si cerca di evitare tutte le pratiche e le sostanze di solito necessarie alle coltivazioni classiche, anche perché con le tartufaie si intende promuovere una coltura ecologica e naturale, in grado di migliorare l’ecosistema.
Esistono 2 specie di tartufo: il Bianco e il Nero. Entrambi possono essere commestibili e adatti al commercio oppure non commestibili.
Per il Bianco commestibile, in Italia abbiamo 2 varietà: 1) il Magnatum Pico, o Bianco d’Alba, che si trova in più zone: principalmente ad Alba in Piemonte, nella zona di Urbino nelle Marche e, più raramente, in Abruzzo e in Molise. Quello proveniente da Alba viene considerato, in assoluto, il più pregiato; 2) il Tuber Borchii, detto bianchetto o marzuolo, di qualità inferiore e, di conseguenza, meno costoso, che a prima vista può essere scambiato per il Magnatum.
Per il tartufo Nero, invece, le varietà commerciabili sono 7. In particolare, le migliori sono 3: 1) il Nero Pregiato, Tuber Melanosporos o di Norcia (Perigord in Francia), di qualità superiore e il più quotato fra i Neri. Proviene da varie aree, ma il migliore e il più costoso proviene da Norcia; 2) Il Nero Estivo o scorzone, meno costoso, ma abbastanza apprezzato 3) Il Nero Invernale detto Brumale o Trifola nero, di buona qualità, anche se non a livello del Bianco di Alba e del Nero di Norcia. Seguono altre 4 varietà, tutte di valore inferiore alle precedenti: 4) l’Uncinato, 5) il Nero Ordinario, 6) il Moscato, 7) il tartufo Bagnoli Irpino.
In sintesi, gli esemplari di maggior prestigio sono: il Bianco, che proviene da Alba in Piemonte, considerato il migliore in assoluto e il Nero, che proviene da Norcia nelle Marche.
Come spiega il sito tecnico “coltivare tartufi”, il prezzo di mercato del tartufo oscilla. Può dipendere, infatti, dai canali di vendita utilizzati e soprattutto dalle specie e varietà. Le quotazioni variano annualmente e in base al periodo, ma tengono conto anche delle dimensioni, della forma e delle qualità organolettiche (maturazione parziale, piena, etc.). Indicativamente, i tartufi pregiati possono arrivare a costare al pubblico 2.000- 3.000 euro al chilo (Bianco di Alba) o 800- 900 euro al chilo (Nero di Norcia). Mentre il prezzo di quelli di minor valore si aggira sui 300- 400 euro al chilo (Bianchetto, Nero estivo) o anche meno.
In riferimento alla fluttuazione del prezzo di vendita al pubblico, secondo uno studio della Coldiretti, per es., in Italia nel 2018 si è verificato “un crollo dei costi con relativa corsa agli acquisti”, poichè il maltempo ha determinato un raccolto particolarmente abbondante. Secondo uno studio della Stirling University in Scozia, invece, tra il 2017 e il 2100 in Europa assisteremo ad una diminuzione tra il 78% e il 100% della produzione di tartufo (in particolare quello nero), a causa dei cambiamenti climatici, del clima secco e del progressivo aumento delle temperature, con un conseguente significativo rincaro dei prezzi. Ad oggi, sembra che il valore del mercato mondiale sia di centinaia di milioni di euro, ma in virtù di tali previsioni, potrebbe crescere fino a 5 miliardi di euro nei prossimi due decenni.
In Italia l’IVA sul tartufo fresco è al 5%, mentre quella sul tartufo lavorato è al 10%.