Imprenditore vs Leader

Il buon leader guida le masse verso progetti e obiettivi comuni. L’imprenditore di successo, sia in contesti allargati che a capo di micro e piccole imprese, ugualmente è chiamato a svolgere questo importante ruolo per incrementare i profitti e valorizzare i propri collaboratori.
di Paola Caracciolo

Con il termine “leader” ci riferiamo in genere ad una persona che guida le altre verso obiettivi comuni, poichè in inglese “to lead” significa esattamente questo: “guidare, condurre, dirigere”.

Da sempre esistono grandi leader e leader locali, buoni leader e cattivi leader e la storia ci insegna che tutti, seppure in misura diversa, possiedono potere e carisma. Solo lo scorrere del tempo, però, permette di valutare i risultati e aiuta a comprenderne il reale valore, la sincerità, la volontà di seminare odio oppure di creare civiltà e benessere.

Numerosi psicologi hanno studiato il segreto della leadership applicata al settore politico, militare, sportivo, scientifico. alla cultura e all’arte. E molti, in epoche più recenti, hanno approfondito i tratti di personalità e le abilità del perfetto leader, in particolare in ambito aziendale. L’immagine stereotipata del grande leader rimanda a eroi leggendari, di straordinario intelletto e forza di carattere, personaggi magnetici capaci di attrarre consensi sconfinati.

In parallelo, secondo una delle tesi più moderne e innovative, quella dello psicologo e scrittore Daniel Goleman, padre della “Emotional Intelligence”, la nostra società si basa sul lavoro di gruppo e, all’interno di un gruppo, chiunque può essere chiamato ad esercitare la funzione di leader. Per leadership si intende la capacità da parte del leader di guidare e indirizzare la propria squadra verso il raggiungimento degli obiettivi. Nel suo libro “Primal Leadership” (2002), Goleman ne individua 6 principali stili: visionario, democratico, del coach, esigente, armonizzatore, autoritario. Poichè ognuno di questi 6 approcci presenta vantaggi e svantaggi, secondo Goleman un buon leader dovrebbe essere in grado di utilizzare di volta in volta il più adatto, in base alle condizioni e alle criticità del momento. Mantenendo aperto e interattivo il canale preferenziale dell’ ascolto e dell’ “Intelligenza Emotiva”, ovvero esercitando sempre “la capacità di riconoscere le proprie emozioni, quelle degli altri, gestire le proprie ed interagire in modo costruttivo con gli altri”.

  • Lo stile visionario, come suggerisce il termine stesso, implica la nascita di una visione condivisa da tutto il gruppo di lavoro, ad es. sugli obiettivi e sull’identità aziendale, in un periodo di crisi o di rinnovamento. Un leader carismatico saprà gestire al meglio questo tipo di approccio, mentre un leader senza “truppe” risulterà poco verosimile.
  • Lo stile democratico sottintende il coinvolgimento e la partecipazione di tutti al processo decisionale aziendale e, di conseguenza, al raggiungimento degli obiettivi. Un leader con ottime doti comunicative e con un team coeso conseguirà eccellenti risultati. Viceversa, rallenterà i ritmi di lavoro.
  • Con lo stile del “coach” ci si concentrerà sul potenziale e sulla motivazione dei singoli collaboratori, finchè le loro personali ambizioni convergeranno totalmente sugli obiettivi aziendali. Se non sarà persona altamente seria ed affidabile, il leader coach rischierà di apparire come un manipolatore senza scrupoli.
  • Lo stile esigente è tutto centrato sul conseguimento dei risultati attesi, a discapito del clima e dello scambio empatico all’interno del gruppo. Un simile approccio funzionerà soltanto se il ledaer saprà offrire in prima persona il buon esempio ai propri collaboratori.
  • Lo stile armonizzatore, al contrario, presuppone un’attenzione mirata alle relazioni interpersonali e alla gestione dello stress, per azzerare tensioni e conflitti e favorire un clima armonico, appunto, in grado di implementare la produzione. Se mal applicato, un simile stile provocherà l’improduttivo “appiattimento” del team.
  • Infine, lo stile autoritario definisce il classico approccio rigido al comando, che non prevede nè dialogo nè feedback. Malgrado sia ad altissimo rischio di insuccesso ed insoddisfazione, un tale stile può essere adottato per risolvere nel breve periodo picchi di crisi estrema.

Il breve cenno alle teorie di Daniel Goleman sull’intelligenza emotiva e sulla leadership introduce la questione dell’imprenditore- leader. Se nelle grandi realtà aziendali, il fondatore- imprenditore ricopre il ruolo di leader indiscusso e carismatico (pensiamo al mondo dell’informatica: Steve Jobs della Apple con il suo motto “Stay foolish, Stay hungry”, Bill Gates della Microsoft Inc. o Mark Zuckerberg di Facebook), cosa accade nelle micro e piccole imprese? Nelle realtà di ridotte dimensioni, spesso l’imprenditore è costretto ad affrontare problemi legati al tessuto socio- economico locale e a misurarsi costantemente con spese impreviste, indebitamenti talvolta importanti, qualità, competitività sul territorio e pressione fiscale. La troppa operatività, in un certo senso, rende il piccolo imprenditore più manager che leader e, di conseguenza, la produttività della sua azienda potrà risentirne. Questo perchè le funzioni del manager e del leader sono complementari, ma non identiche.

Infatti, il ruolo del bravo manager è essenzialmente pragmatico e di amministrazione: egli pianifica i costi, organizza e seleziona i collaboratori, controlla bilanci e persone e risolve problemi. Il suo raggio d’azione è a breve termine e riguarda il presente, le sue preoccupazioni sono concentrate sui numeri. Non delega quasi nulla ad altri, ma rinsalda ogni giorno il potere che ha faticosamente conquistato. Il bravo leader invece, come già scritto, almeno in teoria, parte da un progetto e ogni giorno costruisce un pezzo di futuro. Punta sulle risorse umane, motiva ed ispira, si guadagna il rispetto dei collaboratori. Non crea seguaci o dipendenti, ma nuovi leader che possano un giorno sostiutuirlo e realizzare nuovi grandi sogni. Si mette in gioco in prima persona e assume su di sé le responsabilità di eventuali fallimenti.

Se il piccolo imprenditore, impastoiato nel contingente, dimenticherà di guardare al futuro come potrà salvaguardare la propria azienda? Alle imprese, anche micro e con un modesto volume d’affari non basta il fatturato. Per continuare ad esserci e a crescere servono grandi idee, coraggio e lungirmiranza.