lavoro e passione

Ama il tuo lavoro con passione

C’è chi lavora per necessità e accetta umiliazioni e compromessi, pur di intascare a fine mese lo stipendio. C’è chi lavora per ricevere stabilità emotiva e non solo economica. C’è chi sviluppa, addirittura, una sorta di dipendenza nei confronti dello status sociale e della rete di contatti interpersonali che il lavoro offre. C’è chi lavora esclusivamente per ottenere guadagni elevati. C’è chi nel lavoro scarica ambizioni smisurate e sete di potere, perchè in fondo il vecchio proverbio “o’ cummana è meglio d’ ’o fottere” (comandare è meglio che fare l’amore), sarà un pò volgare, ma è sempre attuale. C’è chi lavora per esprimere la propria creatività. Chi lavora per vocazione. Chi mette a frutto i propri naturali talenti. C’è chi lavora per passione.
di Paola Caracciolo

Nel corso di una celebre intervista, il padre della psicoanalisi Sigmund Freud affermò lapidario: “Lieben und Arbeiten. Amare e Lavorare. Questa è la mia ricetta contro i mali oscuri dell’uomo”. Concetto semplice quanto universale, che per estensione diventa: “Liebe deinen Arbeit. Ama il tuo lavoro”. Con passione.

Ma la Passione conta solo nei rapporti amorosi o è essenziale anche nel rapporto che si instaura tra individuo e lavoro? A giudicare dai risultati ottenuti dai più famosi workers, sembra proprio che sia importantissima. Perchè, quando si sceglie di investire nel lavoro una quantità illimitata di energie, emozioni, impegno, responsabilità, dedizione, fede, tempo (proprio come accade nella relazione amorosa a due), Vita e Lavoro combaciano, si congiungono e si fondono in un’unica forma. Se per Sigmund Freud la psicoanalisi era scienza e scelta esistenziale insieme, per molti altri fortunati, affermati o meno, si compie lo stesso identico destino: il lavoro che si ama diventa quasi una ragione di vita.

E in tempi più recenti, anche il CEO di Apple Tim Cook ha detto la sua sull’argomento, colorandolo con un tocco di moderno edonismo: “Fai ciò che ami, mettici dentro tutto il cuore e poi divertiti”. Passione è un’espressione composita, che ben si accosta al concetto di Lavoro (che non a caso i francesi chiamano: “travail”). Dal punto di vista etimologico. Passione deriva dal latino (“patior”: patire, soffrire). Rappresenta una condizione di profonda afflizione fisica e spirituale, di sacrificio (come nella passione di Cristo ad es.), ma indica anche un persistente stato emotivo, talvolta positivo e vitale. Dal punto di vista psicologico, il termine

Passione descrive in più quel particolare insieme di energie che si sprigiona quando cerchiamo di soddisfare un desiderio potente che ci divora dentro. Dal punto di vista individuale, possiamo dedurre che la la passione rappresenti il magma emotivo, da cui si origina la spinta motivazionale. A livello teorico esistono 2 tipi di motivazione: quella intrinseca e quella estrinseca. La motivazione estrinseca è quella forza, generata da un qualche tipo di rinforzo o ricompensa proveniente dall’esterno (nel nostro caso: stipendio più o meno elevato, riconoscimento sociale, etc.), in grado di innescare e potenziare i comportamenti funzionali ai risultati attesi. La motivazione intrinseca, invece, è quella forza nascosta che nasce e attecchisce nel terreno interiore, germoglia dentro e trae nutrimento dalle emozioni più intime e profonde. La motivazione intriseca si ciba di sogni, desiderio bruciante, di passione, intesa come forza vitale: è anzi la passione stessa. Numerose teorie psicologiche, in particolare di indirizzo cognitivo- comportamentale, molto conosciute e valide, hanno analizato la dimensione del lavoro, chiarendo ai profani che la spinta motivazionale è un formidabile valore aggiunto da “sfruttare” per incrementare la produttività aziendale e migliorare il benessere individuale. Pensiamo alla Teoria dello sviluppo sequenziale dei bisogni (1954) di Abraham Maslow, alla Teoria bifattoriale Igienico- Motivante (1959) di Frederick Herzberg, alla Teoria dei bisogni o della motivazione al successo (1961) di David McClelland. Ricordiamo la Teoria della Motivazione alla Riuscita (1961) di John William Atkinson, la Teoria dell’aspettativa (1964) di Victor Harold Vroom, la Teoria di ERG, Existence-Relatedness-Growth (Esistenza-Relazione-Crescita, 1969) di Clayton Alderfer, etc. Ma, tra tutte, la “Teoria dell’autodeterminazione” è forse l’unica che riesce, con il solo nome, a chiarire di impatto il proprio fondamento teorico. In quanto introduce un ingrediente razionale, l’autodeterminazione appunto, lo applica alla sostanza irrazionale di cui è composta la passione o motivazione intrinseca e rende concreta e oggettiva quella forza immateriale e soggettiva che agita il nostro humus interiore. Secondo la “Self determination theory”, (Teoria dell’autodeterminazione) elaborata dagli psicologi Edward Deci e Richard Ryan (University of Rochester, USA) nel 1985 e successivamente rivisitata dagli stessi e da altri autori, in particolare, ciascun individuo nel corso della propria vita è chiamato a soddisfare 3 distinti bisogni psicologici innati, basilari e non interscambiabili: autonomia, competenza, relazioni.

Per poter conquistare uno stile di vita autonomo e soddisfacente, egli deve imparare a sviluppare la cosiddetta autodeterminazione, strumento indispensabile per accrescere la propria autostima e gestire gli orientamenti di causalità. Amare il proprio lavoro o trasformare le proprie passioni in lavoro non sempre basta, dunque, per raggiungere un duraturo equilibrio interiore, poichè è necessario esercitare con costanza una sorta di autogestione programmata per far sì che la fiamma che ci arde dentro continui a riscaldare e illuminare le nostre vite.

Nè fama e ricchezza ci saranno garantite di conseguenza, una volta realizzati i nostri sogni, come molti credono. Per diventare lavoratori o professionisti di successo, probabilmente, è necessario possedere passione ed anche talento ed accettare consapevolmente che i risultati attesi potranno variare in base al nostro potenziale. James Hillmann, psicologo analista junghiano, con la “teoria della ghianda” (“Il codice dell’anima, 1997), cooptata dal mito di Er di Platone, afferma che ciascuno nasce con uno o più talenti, che in un preciso momento della vita si rivelano a noi. Non tutti sono in grado di riconoscerli, ma è proprio in quei doni, in quella vocazione inconscia, in quella unicità, che è racchiuso il segreto della nostra esistenza; “Chi non ha mai avuto, almeno una volta nella vita, una sorta di illuminazione che ci ha condotto dove siamo. Questo qualcuno ci ha colpiti come un fulmine. Dopo la fulminazione avevamo in mente ciò che dovevamo fare e lo abbiamo fatto, Imprevedibilmente abbiamo avuto una maggiore coscienza di noi”.

Passione e Talenti hanno molto in comune. Anche i talenti innati, come la motivazione intrinseca, per produrre frutti pregiati, specie sul lavoro, richiedono cura e volontà autodeterminante. In conclusione, la domanda è: se “Lieben und Arbeiten” è l’antidoto contro “i mali oscuri” che ci avvelenano l’anima, “Liebe deinen Arbeit” può rappresentare davvero la chiave di “svolta” per ognuno di noi?

Il filosofo Kong Fuzi, Confucio, chioserebbe saggiamente: “Scegli un lavoro che ami e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua”. Dunque, risposta affermativa: ama il tuo lavoro con passione. Consapevole e disinteressata, pura, schietta, genuina passione. E con ogni probabilità, assaggerai un pizzico di felicità.