lavoratrice

In bilico tra certezze e libertà: rischio o posto fisso?

In una commedia molto divertente, il protagonista era un giovane nato e cresciuto con un’unica, esagerata ossessione: quella del contratto senza termine. Già da bambino a scuola, alla classica domanda “Cosa vuoi fare da grande?”, rispondeva serafico: “Posto fisso”. Come fosse la cosa più naturale del mondo. Non “Veterinaria, musicista, scienziato” come i suoi compagni. Per il piccolo qualsiasi lavoro poteva essere adatto, purchè fosse una certezza, fisso, per sempre. Battuta comica o specchio dei tempi?
Paola Caracciolo

Negli ultimi decenni la società ha affrontato a livello globale profonde trasformazioni politiche ed economiche. Ancor oggi, però il mito del posto fisso resiste ed è ben radicato nell’immaginario collettivo. In tanti, giovani e meno giovani, mirano al traguardo della stabilità. Respingendo ostinatamente l’incognita del futuro, ad occhi chiusi sognano di firmare il magico “contratto a tempo indeterminato”, che permetterà loro di fare progetti a lungo termine, metter su famiglia, comprare casa, andare in vacanza, coltivare hobby. Ma nell’attuale contesto socio-economico, nebuloso, incerto e a volte drammatico, in cui viviamo, non è auspicabile invece che i giovani imparino a riconsiderare il miraggio del posto fisso? Che imparino ad analizzarlo da una prospettiva differente e a valutare senza pregiudizi l’utilità, se non la necessità, del divenire imprenditori di se stessi?

Oramai il posto fisso è diventato quasi una creatura mitologica, una chimera. Ha perso gran parte delle tutele legali che lo contraddistinguevano, è meno garantito di un tempo e per conquistarlo è necessario affrontare la lunga trafila dei “contratti a termine”. Eppure, se si anela ad uno stile di vita strutturato e a basso rischio, il contratto a tempo indeterminato resta sempre la soluzione migliore. Anche se lavoro dipendente e Piramide dei bisogni di Maslow non hanno mai rappresentato un connubio vincente. 

Secondo Abraham Maslow, la gerarchia dei nostri bisogni vitali consta di 5 livelli che si estendono dal basso verso l’alto, in stile piramidale appunto: 1) Bisogni fisiologici 2) Bisogno di sicurezza 3) Bisogno di appartenenza 4) Bisogno di stima 5) Bisogno di autorealizzazione.

La pratica quotidiana, nel settore privato più che nel pubblico, mostra al contrario una serie di limiti che collocano il dipendente medio in bilico tra i livelli 2 e 3 e ben distante dai livelli 4 e 5, quelli in genere più agognati e difficili da
raggiungere. 

Quali sono, dunque, i grandi limiti del “posto fisso”? La ripetitività delle mansioni, che di regola tende ad arrecare danni alla salute e ad atrofizzare l’Io creativo; l’obbligo di rispettare orari e ritmi di lavoro non sempre in sintonia con i propri personali ritmi; uno stipendio assicurato, ma spesso inadeguato; l’obbligo di sottostare agli ordini e alle decisioni di un capo. Infine, l’obbligo di trascorrere ca. 1/3 della nostra giornata a stretto contatto con persone preparate, collaborative e simpatiche nel migliore dei casi oppure con colleghi raccomandati, arrivisti ed ipocriti nel peggiore.

I ritmi di lavoro e la ripetitività delle mansioni sono da sempre annose questioni, affrontate dall’epoca della Rivoluzione Industriale in poi sia dal punto di vista della produttività che del benessere del singolo lavoratore. Ma, nonostante si sia compiuto qualche passo in avanti, restano tuttora nodi irrisolti. Se a ciò si aggiunge il comune malcontento nei confronti degli attuali livelli salariali e del basso potere d’acquisto che ne deriva, capita che anche il più entusiasta estimatore del posto fisso, dopo averne assaggiato il retrogusto amaro, sogni almeno una volta nella vita di spiccare il volo. Per sfuggire alla “routine” e magari diventare imprenditore di se stesso.

Purtroppo il volo dal lavoro fisso al lavoro autonomo, nel clima di incertezza economica che ci circonda e soprattutto senza le ali adatte, rischia di rivelarsi tragico e temerario. Proprio come il volo di Tommaso Masini (alias Zoroastro da Peretola), che nel XV secolo si lanciò dal Monte Ceceri a Fiesole per collaudare “la macchina volante” progettata da Leonardo da Vinci. Risultato: l’ornitottero davinciano andò a schiantarsi rovinosamente sulle terre di Camerata, mentre il povero Zoroastro rimediò una frattura alla gamba.

Prima di lanciarsi nel vuoto professionale è meglio riflettere. A maggior ragione in questo preciso momento storico, funestato da malattie, guerre e minacce di nuove guerre. Se si anela ad uno stile di vita “autonomo”, se si possiedono buone idee e la giusta dose di ambizione per realizzarle, se si desidera essere padroni del proprio tempo e del proprio potenziale, diventare imprenditori di se stessi potrebbe rappresentare la scelta giusta. Ad una condizione. Imparare ad accettare, calcolare nei limiti del possibile, fronteggiare e sfruttare a proprio vantaggio il fattore rischio per evitare inutili e spiacevoli incidenti di percorso.

In sintesi, il capitale da investire per avviare un progetto imprenditoriale, l’impossibilità di definire l’iniziale flusso delle entrate, persino la scelta dei collaboratori, la pressione fiscale, l’andamento economico dei mercati, abilità e debolezze personali, la rete di contatti: ciascuno di questi punti potrebbe essere un’incognita e rappresentare un reale pericolo per il neo-imprenditore. Chi è per natura dotato di una buona propensione al rischio sarà certamente favorito nell’avviare e condurre la propria attività imprenditoriale. Tuttavia, un’approfondita formazione teorico- pratica potrebbe fare la differenza e rappresentare il valore aggiunto, ovvero sostenere giovani brillanti e meritevoli che sognano di diventare imprenditori, ma sono frenati dal timore di non saper affrontare la sfida.

Chissà se gli “escapers” che qualche anno fa si riunivano con regolarità in un locale di San Lorenzo a Roma con l’obiettivo di pianificare la fuga dal contratto a tempo indeterminato verso il mondo delle partite Iva e dei “free-lance”, ce l’hanno fatta? Con il loro bisogno di auto-realizzazione al di là delle certezze, la voglia di competizione e la necessità di un confronto diretto, hanno raccontato al mondo un malessere di norma celato, un differente modo di sognare, un’esigenza profonda che sfugge alle statistiche. Difficile, ma non impossibile. Con la preparazione giusta e gli strumenti migliori si può cambiare. Si può volare.